REVIEW PARTY – Non crescono rose all’inferno – Marco Vaccher – Casta Editore 2022

TRAMA

1855, Texas Orientale. A La Caridad, un paese di un centinaio di anime, nulla è come sembra. I quattro Padri della Città che l'hanno fondata non sono uniti come danno a vedere, e gli Apache, che sonnecchiano sulle colline, aspettano solo il momento giusto per svegliarsi. 
Ma la Frontiera non può fare a meno di macchiarsi di sangue, e quando un evento inaspettato costringe la leggendaria fuorilegge Rebecca Costigan a tornare a casa, il silenzio che sorregge il paese da decenni dovrà squarciarsi, per lasciare il posto a una verità dura come il piombo.

RECENSIONE

La Caridad, Texas Orientale, anno 1855

Il romanzo si apre presentandoci subito Jesse Braddock, ex caporale rimasto cieco al fronte, e soprannominato Dead Eye, che oltre a significare letteralmente occhio mortoPortato subito in cella, a gestire il processo arrivano i quattro Padri Fondatori della città:Isaac Stark, Clark Turner, il reverendo Bradley e William Calhoun, detto Grey Bill., e quindi collegarsi al suo essere cieco, è anche il nomignolo che viene dato per indicare cecchini formidabili.

La vita di Jesse è totalmente solitaria, gli unici suoi contatti sono con il reverendo Bradley quando le sue forniture di patate, biscotti di segale e caffè erano ormai quasi esaurite.

L’unica altra compagnia di Jesse erano i suoi tre maiali pelle e ossa e tre ragazzini orfani che spesso lo prendevano di mira per degli scherzi.

Come quella mattina che Smitey, Caleb e Vic non hanno trovato di meglio che lanciare una secchiata di acqua ghiacciata addosso al buon vecchio Jesse.

Fin qui normale amministrazione, quando uno strano rumore agita completamente il vecchio Jesse, portandolo a tirare fuori il suo vecchio fucile da sotto il letto e sparare alla famiglia McClain, iniziando da Blair, a cui il medico dovrà amputare un braccio, proseguendo con il piccolo Scott, che fortunatamente se la cava con una cicatrice alla tempia e una fobia da trauma per le armi, per poi finire con il padre Rufus, che sarà quello che avrà la peggio.

In paese era consuetudine chiamare il vecchio Jesse pazzo, ma tutti sapevamo che non era mai stato quel tipo di pazzo che avrebbe sterminato una famiglia così su due piedi.

Portato subito in cella, a gestire il processo arrivano i quattro Padri Fondatori della città:Isaac Stark, Clark Turner, il reverendo Bradley e William Calhoun, detto Grey Bill.

In paese si diceva che Rabbit avesse la vista più buona di una guida indiana, e c’era del vero. A quella distanza non gli costò fatica distinguere gli occhi chiari e le spalle larghe di Isaac Stacks. Quanti anni aveva? Bontà di Dio, non meno di sessantacinque, eppure eccolo là, dritto come una statua equestre, ancora in grado di tenere le briglie del suo cavallo in una mano e il resto della città nell’altra. A qualche passo dietro di lui cavalcava Clark Turner, il tenente dei ranger.
Rabbit lo riconobbe nella penombra del tramonto dal riflesso rossastro che l’ultima luce del giorno mandava sulla sua barba, e dal muso elegante di Ruby Ann, la sua cavalla mustang.
Là, a sinistra, dove la notte già faceva più presa, affiorava la testa calva del reverendo Bradley.
Accanto agli zoccoli del cavallo di Stacks avanzava il suo cane da caccia, un animale in perenne silenzio al quale il padrone aveva dato il nome di Mr White.
Quelli erano i Padri della Città.
Rabbit sospirò e, senza rendersene conto, fece due passi indietro ed entrò a casa.
Che quegli uomini, al di fuori di ogni legge e al di sopra di ogni diritto, governassero la città ben prima che lui ci arrivasse, era affar noto in tutta la contea.
Erano loro che si occupavano degli orfani, che provvedevano alle vedove e che facevano sparire le pietre d’inciampo.
Rabbit non ebbe bisogno di sporgere la testa per vedere dove fossero diretti. Sapeva che stavano cavalcando verso il ranch di Grey Bill, il quarto di loro.

Quello però non è l’unico evento strano , arrivato a rovinare la routine di calma che si era costruita la cittadina, un altro evento inaspettato si fionda a capofitto su La Caridad, un evento che ha come conseguenza il ritorno della fuorilegge Rebecca Costigan.

Il silenzio fitto e omertoso che per decenni ha sorretto il paese si spaccherà e tutta la verità è pronta a uscire alla luce.

Secondo romanzo western dell’autore pubblicato con Casta Editore.

Come prima cosa voglio parlare dell’unica cosa negativa che ho trovato, ovvero spesso i pensieri dei personaggi non vengono segnati in nessun modo se non dal passaggio dalla terza persona alla prima persona, e questa cosa mi ha un po’ reso difficoltosa la lettura all’inizio, ma una volta che mi sono abituata non ci ho più fatto caso.

Ora parliamo del resto del romanzo.

Innanzitutto fin dal prologo l’autore ha la capacità di riuscire a trasportarci nelle atmosfere del west di metà ottocento, percepiamo il ritmo della vita, scandito da una routine giornaliera consolidata giorno dopo giorno, in cui tutto ha il suo momento preciso, le sue azioni precise, i suoi posti precisi, al punto tale che perfino una persona cieca come il buon vecchio Jesse riesce a vivere da solo senza problemi.

I personaggi, come le ambientazioni, sono descritti in modo minuzioso, con mille sfumature e approfondendo sia il lato fisico che quello emotivo e mentale, permettendo così al lettore di figurarseli perfettamente e di riconoscerli anche da un minimo gesto.

Il ritmo narrativo è molto particolare, non è troppo veloce, ma nemmeno lento, si adatta alla narrazione e agli eventi, facendoci sentire proprio dentro alla storia.

Anche la storia è molto particolare, non è la classica storia western, e non è nemmeno un giallo storico, ma un mix dei due, in cui entrambi i generi trovano il loro posto e si amalgamo alla perfezione, mantenendo i punti fondamentali che li contraddistinguono, ma nello stesso ampliandosi in qualcosa di molto più elaborato.

Con un linguaggio alla mano e comportamenti realistici, non ho trovato in nessun punto delle forzature per necessità di trama o parti inverosimili, tutto fila liscio ed è davvero ben costruito.

Una lettura che consiglio vivamente anche a chi, come me, non è un abituale lettore del genere western, perché sarà piacevolmente sorpreso e conquistato dalla bravura di Marco Vaccher.

Micol Borzatta

Copia ricevuta dalla casa editrice