
TRAMA
Un'opera in cui ne va della sottile linea che separa i fantasmi della scrittura da quelli della realtà.
«Anche il Giappone ha una regina del delitto. Il suo nome è Natsuo Kirino». - Tommaso Pincio, la Repubblica
«Kirino, dark lady più diabolica anche della yakuza». - Il Giornale
«La scrittrice di Tokyo, famosissima in patria, è una delle contestatrici più formidabili delle istituzioni sacre della società nipponica». - Lara Crinò, il Venerdì di Repubblica
Ubukata Keiko, trentacinquenne scrittrice di successo nota con lo pseudonimo di Koumi Narumi, e da qualche tempo in crisi di creatività, scompare lasciando un'unica traccia di sé: un manoscritto intitolato "Una storia crudele". Atsuro, il marito avvezzo alle stranezze e alla volubilità della donna, lo trova in bella vista sulla sua scrivania con il seguente post-it appiccicato sopra: "Da spedire al Dott. Yahagi della Bunchosha". Editor della casa editrice di Koumi Narumi, Yahagi si getta subito a capofitto nella lettura dell'opera, nella speranza di avere finalmente tra le mani il nuovo best seller dell'acclamata autrice. Più si addentra nella lettura, tuttavia, più rimane sconvolto e, leggendo l'annotazione finale dell'opera: "Ciò che è scritto in queste pagine corrisponde alla pura verità. Gli eventi di cui si parla sono accaduti realmente", non può fare a meno di avvertire un brivido corrergli lungo la schiena. Koumi Narumi narra, infatti, dell'infanzia di Keiko, vale a dire della propria fanciullezza. Descritta come una bambina di dieci anni triste e solitaria. Una sera, sperando forse di trovarvi il padre, si spinge fino a K, un quartiere ad alta concentrazione di bar e locali a luci rosse. Là si sente a un tratto picchiettare con delicatezza sulla spalla. Sorpresa, si volta di scatto e scorge un giovane uomo con in braccio un grosso gatto bianco. Incuriosita, Keiko lo segue in un vicoletto buio, dove lo sconosciuto le infila un sacco nero sul capo e la rapisce.
RECENSIONE
Il romanzo si apre con una lettera scritta dal marito di una scrittrice all’editore di lei, in cui comunica che la moglie è scomparsa dopo aver ricevuto una strana lettera e ha lasciato nel computer il suo ultimo manoscritto, che viene allegato insieme alla strana lettera, e viene spiegato all’editore, e quindi al lettore, che la scrittrice Koumi Narumi, altro non è che Ubukata Keiko, la bambina che venticinque anni prima ha fatto scalpore perché a soli dieci anni è stata rapita e tenuta per tredici mesi e mezzo rinchiusa nell’appartamento di un operaio venticinquenne.
A questo punto ci viene consentito di leggere la strana lettera, che scopriamo essere del rapitore,
e subito dopo il manoscritto di Keiko, che a suo dire nella prefazione di questo, vuole essere un’autobiografia in cui svelerà per la prima volta tutta la verità su quei tredici mesi, per poi finire
nuovamente con una seconda lettera del marito, che stravolgerà interamente tutto quello che abbiamo pensato e creduto di aver capito.
Considerata una tra le migliori scrittrici contemporanee, la regina del delitto giapponese, una Dark Lady più diabolica della Yakuza stessa, Natsuo Kirino riesce a strutturare un thriller, a mio avviso, alla stessa altezza di Michel Bussi e Franck Thilliez.
Utilizzando la struttura del romanzo del romanzo riesce a portare il lettore in diverse profondità della psiche umana, sfumando le una nell’altra in modo che non potremo più capire dove stia la separazione tra realtà e finzione.
Con pochissime descrizioni ambientali, se non di solo alcuni particolari, riesce a rendere sulla carta quell’atmosfera cupa e claustrofobica, ma anche potente che troviamo in grandi produzioni cinematografiche come Shinder’s List, o videoludiche come Inside, in cui tutto è in bianco e nero tranne alcuni particolari atti a colpire l’animo dello spettatore, il cappotto rosso vivo della bambina nel primo caso, la maglietta borgogna del bambino nel secondo caso.
Ruolo davvero fondamentale lo hanno le emozioni e il lato psicologico, che ci vengono trasmessi attraverso le azioni descritte dei vari personaggi del passato e poi commentate dalla Keiko adulta, diventando così una sorta di filtro attraverso il quale noi vivremo ogni evento, ma che continueremo a dimenticarlo e a non vederlo fino a quando non ci verrà ricordato a fine romanzo, gettandolo addosso come se fosse una doccia fredda, risvegliando tutte quelle domande che ci eravamo posti all’inizio, ma non rispondendo nemmeno a una.
Un romanzo che mi ha colpito moltissimo, e che mi ha fatto venire voglia di leggere tutta la sua bibliografia.
Micol Borzatta