Mr. Mercedes, Stephen King (Sperling & Kupfer 2014) a cura di Micol Borzatta

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August Odenkirk, detto Augie, si sta dirigendo all’auditorium dove c’è una fiera del lavoro, programmata per l’apertura, nella quale promettono di assegnare cento posti di lavoro.

Augie si ritrova in fila dietro a una ragazza madre, anche lei arrivata sul posto di sera in modo da avere la certezza di essere tra i primi a presentarsi ai banchi all’apertura.

Passano le ore, la coda continua a crescere, mentre la nebbia e l’umidità iniziano a farsi sempre più dense, quando alle cinque del mattino una Mercedes arriva e dopo essersi fermata puntando i fari dritti verso la coda di persone in attesa, suona il clacson e scatta in avanti, gettandosi sul gruppo più folto, investendo tutti e causando il panico, che uccise quelli che avevano avuto la fortuna di non essere stati investiti, facendo sì che venissero calpestati dalla folla stessa.

Il detective K. William Hodges, è un ex detective della polizia in pensione da sei mesi, pluridecorato, il più decorato della sua cittadina, l’unico neo della sua carriera è l’Assassino della Mercedes, l’unico caso che non ha mai potuto chiudere, l’unico caso che non ha saputo risolvere. Ed è proprio dall’Assassino della Mercedes che riceve una lettera esattamente un anno dopo la strage davanti all’auditorium.

Il motivo della lettera è quello di spingere Hodges al suicidio, ma senza saperlo il killer ha dato un nuovo motivo per vivere al detective a riposo, il motivo più forte che possa esistere.

Brady sa che inviare quella lettera è stato un rischio, ma sa anche che Hodges non potrà mai risalire a lui, ha preso tutte le precauzioni del caso come cambiare il suo stile di scrittura, usare server fuori dal continente e dare indicazioni davvero succulenti ma che a livello pratico non portassero a nulla. Giusto per il gusto del gioco.

Riflessione che fa mentre è in pausa sigaretta con una collega, per poi perdersi nel ricordo di quando ha ucciso il fratello seguendo l’idea che aveva avuto sua madre.

Brady infatti sembra un ragazzo qualunque, giovane esperto informatico in un locale centro di elettrodomestici e come gelataio come secondo lavoro, ma in realtà è il killer con la mercedes, figlio assassino di una madre alcolizzata.

Dopo quella lettera tra Hodges e Brady inizia una estenuante partita a scacchi in cui il primo cerca di catturare il secondo, mente quest’ultimo vuole distruggerlo colpendo le persone a lui vicine.

Primo romanzo di una trilogia anche se ogni volume è autoconclusivo, legati solo dalla presenza di Hodges e i suoi collaboratori.

Nelle prime cinquanta pagine ci vengono fornite tutte le informazioni principali: viviamo il massacro del 2009 in cui la mercedes travolge le persone in attesa alla fiera del lavoro, conosciamo il detective a riposo Hodges e la sua trasformazione in detective privato, e conosciamo anche Brady, la sua vita e il suo piano per distruggere Hodges.

A questo punto verrebbe da chiedersi cosa può spingerci a continuare la lettura visto che sappiamo tutto, ma il punto è proprio questo, sappiamo i fatti principali ma non conosciamo come potrebbe chiudersi il caso, ed è proprio questo a coinvolgere il lettore e a tenerlo legato nella lettura, nonostante non si abbia tra le mani un romanzo horror ma un thriller.

Da questo momento, infatti, la storia si concentra sulla battaglia tra Brady e Hodges, e il fatto che abbiamo tutte le informazioni di base, ci permette di concentrarci maggiormente sullo sviluppo della storia senza il bisogno di dover sapere ulteriori informazioni sui personaggi.

A differenza di molti romanzi di King, in questo non abbiamo lunghe descrizioni logorroiche, nonostante le descrizioni ci siano e siano anche molto minuziose, però occupano lo spazio minimo necessario.

I personaggi sono, come sempre, caratterizzati in modo molto realistico e sotto ogni minimo aspetto, sia positivo che negativo, portandoli fuori dai soliti stereotipi e dalle solite classificazioni. Non esistono solo buoni e cattivi, ma migliaia di vie di mezzo, come effettivamente siamo tutti nella realtà.

La storia è ben organizzata, proprio come una partita a scacchi, ogni personaggio fa la sua mossa studiata nei minimi particolari cercando di anticipare la mossa dell’avversario, di batterlo sul tempo per vincere e distruggere la propria nemesi.

Nonostante questo sia un thriller e non un horror, l’atmosfera creata dall’autore è ugualmente cupa, accattivante, ansiogena, un’atmosfera paurosa che terrorizza proprio perché non ha nulla di paranormale, ma è completamente plausibile, possibilmente reale, e questo è un pensiero che si attacca nella mente del lettore e lo accompagna sia per tutta la durata della lettura, ma anche dopo averlo finito, portandoci a temere e sussultare ogni volta che camminando per strada sentiamo una macchina frenare o inchiodare.

Come sempre una lettura mozzafiato all’altezza del Re.

Micol Borzatta

Copia presa in biblioteca

Anima, Wajdi Mouawad (Fazi 2015) a cura di Micol Borzatta

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Quando Wahhch Debch torna a casa, dopo aver eseguito alcune commissioni per la moglie, lo spettacolo che lo accoglie è dei più atroci: la moglie giace in terra in una pozza di sangue con un coltello infilato nel ventre.

Dopo l’autopsia Wahhch viene a sapere che il killer aveva tagliato il ventre alla moglie e poi l’ha penetrata, violentata nella ferita eiaculando, per poi penetrarla nella vagina quattro volte con il coltello, colpendo anche l’utero e il feto che aveva in grembo, per poi infilzarle il ventre finché il coltello si infisse nel legno del pavimento.

Wahhch è disperato, distrutto dal dolore e assetato di vendetta, decidendo così di voler investigare a sua volta e trovare il killer.

Inizia così un lunghissimo viaggio dal Québec al Libano, attraverso traffici illeciti, mafie e segreti risalenti alla sua infanzia.

Sono riuscita a sentire la sua natura, a individuarla all’interno. Al di là dell’apparenza umana dietro la quale si camuffava, quell’uomo era avvolto da una tela invisibile con fili di una seta nata dalla propria carne, è la bestia odiosa che lo teneva prigioniero e che si nutriva delle sue viscere, altri non era che lui stesso. Era la propria preda e la propria trappola.

Romanzo molto particolare, specialmente dal punto di vista della narrazione, infatti la voce narrante è esclusivamente quella degli animali che racconteranno il loro punto di vista, e saranno sempre loro a riportare i dialoghi avvenuti in loro presenza.

Si parte così facendo la conoscenza del gatto di Wahhch, a un cane e a una colomba per la strada, al pesce rosso del capo della polizia, e così via.

All’inizio della lettura si potrebbe avere qualche problema a immedesimarsi e a sentirsi coinvolti nella lettura, ma l’attrazione avviene proprio nell’approfondimento della psiche animale.

Ogni capitolo è dedicato a un animale e troviamo uno stile linguistico e narrativo diverso in ogni capitolo, un continuo cambio di stile che dà proprio l’impressione che il narratore cambi di volta in volta e il modo di vedere il mondo è proprio quello che ci si aspetterebbe da ogni singolo animale, rendendo così il tutto molto realistico.

Anche le descrizioni sono molto diverse in base che a farle sia un insetto, un volatile, un rettile, un pesce o un mammifero e in base alla taglia del narratore.

La narrazione è talmente vivida che ho potuto provare tutto il dolore del gatto di Wahhch alla perdita della sua umana, il suo punto di riferimento, il suo mondo, trasmettendo una malinconia e un senso di vuoto che mi hanno portato a fare lunghi pianti.

L’animo umano viene descritto sotto ogni aspetto, anche quello più oscuro e nero che ci porta a massacrarci.

Una lettura intensa, cruda e disturbante adatta solo a stomaci forti.

Micol Borzatta

Copia presa in biblioteca

Beauty and the Wolf, Giusy Moscato (Self Publi­shing 2019) a cura di Micol Borzatta

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Kyle Thompson ha ventisette anni ed è un medi­co al pronto soccorso, dove esercita anche il suo migliore amico ed ex compagno di corso Jack Ferguson, colui che è riuscito a svelargli il suo più grande segreto, ovvero essere omosessuale, dopo
aver interpretato male un comportamento strano di Kyle.

Kyle infatti ha da sempre evitato ogni coinvolgimen­to con il genere femminile, ma non perché non fosse interessato a loro, ma perché la sua stirpe ha addosso una maledizione e ha paura di coinvolgere altre persone.

Kyle infatti è un licantropo.

Mentre suo padre è riu­scito a innamorarsi e sposarsi con un’umana, svelan­dole il segreto di famiglia, la sorella ha sposato un altro licantropo e il fratello minore è un Don Giovanni, lui ha deciso di fare come suo fratello maggiore ed evitare l’amore per non rischiare di fare del male a una persona a cui sarebbe legato.

Tutti i suoi propositi cadono quando in ospedale deve curare per una caviglia slogata Valerie Leblanc, una ragazza bellissima, con uno sguardo che ricorda un cer­biatto e che lo conquista al primo sguardo.

Kyle non riesce a capire più nulla e decide di invitarla fuori a cena quella sera stessa, senza pensare che cinque mesi dopo avrebbe compiuto vent’otto anni e si sarebbe
attivata la maledizione.

La serata si svolge divinamente, entrambi stanno benis­simo e si sentono a loro agio, al punto che a fine serata scatta il fatico bacio.

Nella famiglia di Kyle la madre e il fratello minore, gli unici a essere al corrente di tutto fin dall’inizio, sono contentissimi della cosa e lo incitano a buttarsi, ma Kyle ha troppa paura ed è combattuto.

Sospirai. Stava eludendo anche lei l’argomento, un po’ come tutti in quella casa. Potevo forse biasimarla? «Come fai ad amarlo anche se è… diverso?» Bravo, Kyle, evita quella parola come la peste. Non risolverai comunque la situazione.
Il suo viso si rabbuiò all’istante. «Ammetto che non è stato facile, soprattutto all’inizio», confessò. «Eppure, ti ho già risposto in parte: l’amore non è razionale. Io amo Fred e lo amo così com’è, con i suoi pregi e i suoi difetti.»
«È più di un difetto», sottolineai.
«È vero, però io mi fido di lui e so che non mi farebbe mai del male, così come lui si è fidato di me quando ha deciso di rivelarmi il suo segreto. La fiducia incondizionata e reciproca è la cosa più importante in un rapporto di coppia.

Primo romanzo di una serie auto pubblicato dall’au­trice.

Retailing di la Bella e la Bestia vengono riportati i temi fondamentali come la fiducia, la paura e l’insicu­rezza, il tutto ambientato ai giorni nostri come in Bitten, serie televisiva tratta dal romanzo omonimo.

Fin dalle primissime pagine, oltre che dal titolo e dalla copertina, conosciamo la vera identità di Kyle. Un ragaz­zo bello, sexy, con gli addominali scolpiti, lo sguardo magnetico, insomma il solito bel ragazzo stereotipato a cui cadono tutte ai piedi, ma che lui non considera nessu­na. Quantomeno non le considera non per eccessiva auto­stima o perché è un gradasso, ma per paura e timidezza, qualità che non si trovano mai in un romanzo del genere.

Anche Valerie è abbastanza stereotipata, la solita ragazza pura, angelica, bionda con gli occhi azzurri dolcissimi, timida, di cui non si può non rimanere innamorati a prima vista, e per di più vergine.

Ed è proprio nel giro di due secondi che i due si innamo­rano perdutamente, sanno che l’altro è quello giusto e che devono stare insieme tutta la vita.

Ecco questa è tutta la parte negativa che ho trovato nel romanzo, ma ora passiamo a quello che mi è piaciu­to.

Innanzitutto ho trovato la stesura e la scrittura davvero ben fatte, cosa che spesso non si trova nemme­no in un romanzo di casa editrice, figuriamoci in un autopubblicato.

L’autrice ha dimostrato di saper scrivere davvero bene e di avere uno stile completo e maturo.

Molto ben strutturate le descrizioni degli ambienti, ma anche il carattere e la psicologia dei personaggi.

Infatti se fisicamente sono molto stereotipati, carat­terialmente non lo sono, permettendo di affrontare in modo molto approfondito temi molto importanti
come la paura, l’insicurezza, ma soprattutto la fidu­cia, molto importante specialmente in una coppia.

I capitoli non sono lunghissimi e sono alternati tra Kyle e Valerie, permettendoci di conoscere entrambi i punti di vista.

Una lettura veloce, poco impegnativa, ma anche che sa farci riflettere, una volta finita, su noi stessi, sulle nostre paure e su quanto ci fidiamo delle persone che amiamo.

Una storia interessante anche se un po’ troppo mielo­sa.

Micol Borzatta

Copia ricevuta dall’autrice.

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The man in the high castle, serie televisiva di Frank Spotnitz

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L’uomo nell’alto castello è una serie televisiva ideata da Frank Spotnitz per Amazon Studios, basata sul romanzo ucronico distopico di Philip K. Dick La svastica sul sole.

L’ambientazione della serie è un passato alternativo in cui le potenze dell’Asse hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale, dominando così gran parte del mondo, che viene diviso tra Germania e Giappone.

Siamo nel 1962, Gli Stati Uniti non esistono, ma ci sono gli Stati Giapponesi del Pacifico a Ovest, e il Grande Reich Nazista a Est, divisi dalle Montagne Rocciose che sono diventate Zona Neutrale.

I protagonisti principali sono Juliana Crain che si trova tra le mani una bobina affidatele dalla sorella in cui c’è una pellicola che mostra come gli Alleati hanno sconfitto la Germania e il Giappone. Dopo l’uccisione della sorella da parte della polizia Giapponese, Juliana decide di unirsi alla resistenza e scoprire la verità sui filmati.

Joe Black è una spia nazista che viene inserito nella resistenza per recuperare le bobine e scoprire chi sia l’uomo nell’alto castello. Mentre è in missione conosce Juliana che gli cambierà la vita e il destino a cui era destinato.

Nobusuke Tagomi è il ministro del commercio giapponese che, preoccupato per il futuro del loro pianeta e comprendendo i pericoli di una guerra tra Germania e Giappone, decide di collaborare con il nazista Wegener per impedire lo scontro.

I personaggi sono molto ben caratterizzati e si può notare un rilevante cambiamento con il proseguire delle stagioni, che li rende molto realistiche e naturali.

La storia, pur visionaria, è davvero plausibile sotto molti punti di vista, costruita dopo un attento studio delle possibilità esistenti se l’Asse avesse vinto davvero.

Anche la ricerca del potere e quello che il potere comporta è un tema che è stato molto ben approfondito, inserendo anche come il potere cambi la moralità delle persone.

Una serie TV davvero interessante che scorre abbastanza veloce e dai molti punti di riflessione.

Micol Borzatta

Vista su Amazon Prime Video

La lotteria, Shirley Jackson (Adelphi 2012) a cura di Micol Borzatta

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Raccolta di quattro racconti.

Nel primo ci troviamo in un paesino in cui si sta organizzando la lotteria annuale, in cui nessuno vorrebbe essere estratto.

Nel secondo abbiamo una ragazza che sta aspettando il suo sposo il giorno del matrimonio, ma qualcosa non va secondo i piani.

Nel terzo, una donna si reca dal medico perché si crede pazza.

Mentre nell’ultimo seguiamo le vicende di una coppia e di un fantoccio da ventriloquo.

La lettura è velocissima, in massimo un’ora lo si finisce, sia per la brevità del testo che per il ritmo narrativo.

Per quanto mi riguarda, la qualità del testo non mi ha conquistato molto.

Trovo che la Jackson riesca molto meglio nei romanzi dove ha più spazio per narrare, perché nei racconti sembra perdersi.

Sono interessanti, ti colpiscono, ma sono incompleti, si ha l’impressione di leggere un estratto di un romanzo, e vieni abbandonato senza una conclusione.

Una lettura piacevole ma che ti lascia in sospeso.

Micol Borzatta

Copia di prorietà

Delicato è l’equilibrio, Alice Chimera (La Ponga Edizioni 2019) a cura di Micol Borzatta

FB_IMG_1573403795321-250x443Pisa, giorni nostri.

Laura è alla disperata ricerca di una nuova sistemazione dopo che la sua padrona di casa le ha comunicato che deve disdire il contratto perché ha venduto la casa.

Per tre mesi ha girato in lungo e in largo senza trovare nulla, quando di colpo le cade l’occhio su un nuovo annuncio posto nella bacheca dell’università.

Un messaggio davvero molto strano molto stringato, telegrafico e senza riferimenti a quel punto Laura nota alcuni glifi sul bordo del foglio e capisce che quel messaggio non è per tutti, ma solo per lucubranti come lei, infatti concentrandosi riesce a vedere il resto del testo celato.

Laura è in fibrillazione perché da quando sua madre le ha detto che entrambe sono delle lucubranti, non ha mai incontrato nessuno come loro e non ha mai potuto approfondire l’argomento, forse quella è l’occasione giusta per trovare delle risposte sui suoi poteri.

Ed è così che telefona subito a Nina, la mittente del messaggio, e fissa un appuntamento.

La casa è davvero molto bella e rispecchia lo status molto benestante di Nina, al punto che Laura inizialmente è convintissima di non potersela permettere, ma fortunatamente a Nina non interessano i soldi, così l’affitto è davvero minimo.

Con Nina, Laura riesce finalmente ad avere una spiegazione su chi siano i lucubranti, viene a sapere dell’esistenza dei Guardiani, ma invece di colmare le domande, queste informazioni ne fanno sorgere altre mille e Nina ha davvero un ritmo molto lento nel spiegarle le cose.

Laura fa anche la conoscenza di Diego e Maurizio, due uomini molto diversi tra loro che dovranno diventare Guardiani e che Nina le impedisce da subito di frequentare.

Chi sono però i Guardiani e perché Laura non dovrebbe frequentarli? Sono davvero loro i colpevoli dell’incidente che le ha distrutto tutte le possibilità di realizzare il suo sogno?

E perché Nina vuole ritirarsi? Qual è il grande dolore che le ha distrutto la vita? Che fine ha fatto quella figlia che la sua memoria continua a evocare?

«Sei davvero ingenua. Non è una questione di verità taciute o di cospirazione cosmica. Noi nascondiamo quello che siamo alle persone normali perché è l’unico modo per mantenere l’Equilibrio.»
Dovevo avere un punto di domanda al posto della testa perché Nina, sempre più divertita dalla mia ignoranza, continuò a spiegare: «Facendola molto semplice, devi immaginare il mondo come una bilancia. Bene e male, vita e morte, sono i contrappesi che vanno a influire sul suo ago. I lucubranti furono creati per dare equilibrio: per la perfetta equivalenza si è generato qualcosa di complementare alla normalità, affinché si contrapponesse a essa: ogni cosa al mondo ha la sua controparte. Noi siamo il peso che controbilancia coloro che vivono nella completa quotidianità. Noi rendiamo equa l’esistenza delle persone normali se non ci fossimo si romperebbe la stabilità dell’universo.»
«Se è vero quello che dici, dovremmo essere tantissimi, ma non ho mai incontrato nessuno, a parte mia madre e te. Se siamo così tanti perché ci nascondiamo?»

L’apertura del romanzo è davvero molto particolare.

iniziamo infatti con un prologo totalmente misterioso, in cui veniamo catturati e gettati in una situazione stranissima di cui capiamo solo che si svolge a Pisa, ma non capiamo chi sia la protagonista o il tempo dell’ambientazione.

Con questa confusione ci inoltriamo nella storia, conosciamo il periodo storico e la seconda protagonista, con la quale empatizziamo subito perché scopriamo che lei, come noi, ha le stesse domande a cui sta cercando disperatamente delle risposte.

Magnifiche le descrizioni relative alla città di Pisa. Descrizioni poetiche, minuziose, che trasmettono la magia della città, i suoi contrasti, le sue particolarità, i suoi misteri e la sua multietnicità. Descrizioni che permettono anche a chi non conosce la città di immaginarsela talmente bene da sentirsi concretamente nei suoi vicoli.

Il rapporto fra Nina e Laura è descritto molto approfonditamente come viene approfondito il dolore provato da entrambe, un dolore forte e profondo, quasi uguale anche se derivante da due eventi totalmente differenti.

La narrazione ha un ritmo molto veloce, aiutato anche da capitoli brevi e continue alternanze tra Nina e Laura, che sono anche le due voci narranti di tutta la storia.

Infatti il romanzo è tutto in prima persona e a raccontare sono proprio le due lucubranti che ci narrano il loro presente e il loro passato, mentre noi lettori, intrecciando i due racconti, scopriamo il loro futuro.

I personaggi non sono per niente stereotipati, anche quelli che lo possono sembrare in un primo momento, scopriamo che invece sono molto più complessi.

Una lettura che sa davvero conquistare fin da subito, facendosi amare e divorare.

Micol Borzatta

Copia ricevuta dalla casa editrice

Nell’erba alta, Stephen King e Joe Hill (Sperling & Kupfer 2013) a cura di Micol Borzatta

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Cal e Becky De Muth sono fratello e sorella e hanno solo diciannove mesi di differenza, sono sempre andati d’amore e d’accordo e uno finiva le frasi e i pensieri dell’altra, al punto che chiunque, genitori compresi, li chiamava gemelli siamesi.

Dopo essere rimasta incinta, Becky si rivolge al fratello che le consiglia, visto la reazione negativa dei genitori, di prendere una pausa di un semestre dall’università e di recarsi dagli zii fino alla nascita del bambino.

Ed è così che si trovano per strada, direzione San Diego, quando Becky apre il finestrino per sentire un po’ d’aria fresca, per cambiare da quella condizionata, Cal spegne la radio, bisognoso di un po’ di silenzio, e sentono, mentre viaggiano, l’urlo di un bambino provenire da un enorme campo, con l’erba alta quasi due metri, che costeggia una solitaria strada del Kansas.

Il bambino sembra avere solo otto anni, e i due fratelli decidono di fare una spedizione di salvataggio, parcheggiando fuori dalla strada, nello spiazzo della Chiesa dove c’erano tantissime macchine, tutte coperte di polvere, come se fossero lì parcheggiate sa mesi.

Becky inizia a urlare per chiamare il bambino che risponde di essersi perso e di vagare da giorni.

Subito dopo la voce di una donna interviene sgridando il bambino e avvisando Becky di allontanarsi prima che un indefinito Lui li possa sentire.

Becky si accorge che la situazione è molto simile agli incubi che faceva da qualche mese e decide, con il fratello, di avventurarsi nell’erba alta, nonostante i continui avvertimenti da parte della donna di non farlo.

Brevissimo racconto, sono solo un centinaio di pagine, scritto da Stephen King e dal figlio Joe Hill, e di cui quest’anno è stato fatto un adattamento televisivo da Netflix.

Già dalla prima riga entriamo subito nel fulcro del racconto e i personaggi vengono descritti e presentati piano piano durante la narrazione, senza lunghe descrizioni, ma con piccoli accenni e impressioni, o addirittura corti flash back.

L’atmosfera è da subito cupa e angosciante, molto creepy, che tiene legati alla lettura, ma allo stesso tempo fa venire voglia di urlare e scappare.

La storia è davvero originale, con un senso di possibile realismo che gela l’animo del lettore imprigionandolo nel terrore puro.

Una lettura da non affrontare di notte.

Micol Borzatta

Copia di proprietà

Le notti di Salem, Stephen King (Sperling & Kupfer 2004) a cura di Micol Borzatta

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Ben Mears è uno scrittore famoso.

Da bambino, a causa di grossi problemi di salute della madre, è stato mandato a Jerusalem’s Lot a vivere dalla zia, e qui ci rimane per ben quattro anni, fino a quando un enorme incendio non distrugge mezzo paese e lui, non avendo più la casa della zia, che è bruciata, viene rimandato dalla madre.

Diventato adulto e famoso, decide di tornare a Jerusalem’s Lot, provare a prendere in affitto la vecchia casa Marsten e mettersi a scrivere un nuovo romanzo.

Appena arrivato in paese fa subito conoscenza con Susan Norton, una bellissima nata proprio nell’anno del famosissimo incendio.

Subito dopo la conoscenza di Susan, Ben si reca a informarsi per affittare casa Marsten, ma viene a sapere che è stata acquistata, ma non riesce a farsi dire da chi.

Come qualsiasi abitante della cittadina, anche Ben si stupisce che qualcuno abbia acquistato quella casa, rimasta sempre disabitata da quando i coniugi Marsten sono morti, lei uccisa e lui impiccato, infatti lui stesso avrebbe voluto solo prenderla in affitto per un tempo determinato.

Il ricordo dell’orrore di cui è stata scenario la casa, è sempre vivido nella mente della popolazione, come in quella di Ben, che a nove anni è stato obbligato a entrare e a prendere un cimelio come rito d’iniziazione.

Casa Marsten era stata acquistata da un certo signor Barlow che, con il socio Straker, aveva preso anche la vecchia lavanderia per farci un negozio di mobili antichi destinato ai turisti che passavano in estate da quelle parti. La compravendita si svolse in modo molto strano, infatti i due immobili furono acquistati per un dollaro, ma l’agente immobiliare ricevette i documenti che lo rendevano proprietario di un terreno del valore di quattro milioni di dollari.

Dal momento in cui il nuovo inquilino entrò in casa Marsten, strani avvenimenti iniziarono a colpire Jerusalem’s Lot. Da prima venne ritrovato un cane sventrato e impalato su una delle sbarre del cimitero, poi la sparizione di due bambini e un uomo che, recintando una strana litania, si avvicinava al cimitero con un bambino in braccio. Le finestre della casa rimanevano chiuse tutto il giorno, mentre dopo il tramonto venivano spalancate e una figura maschile si aggirava illuminato solamente da una lanterna, e grosse scatole pesanti vennero riposte nel negozio e nella cantina della casa.

La casa. Casa Marsten. Un edificio lugubre che dalla cima della collina domina tutta Jerusalem’s Lot, tenendola sotto il suo potere.

Il romanzo inizia subito con un prologo interessante dove tutto quello che doveva accadere è già accaduto, ma non abbiamo la minima idea di cosa sia accaduto.

A questo punto inizia la storia vera e propria, con un salto temporale nel passato, e viviamo dall’inizio della storia di questo paesino che già una volta era stato colpito dalla catastrofe e nuovamente in balia di forze oscure.

Jerusalem’s Lot è un paese inventato, situato però in una zona veramente esistente, come realmente esistenti sono i paesini che la circondano.

La prima parte, in cui conosciamo i personaggi principali, è molto psicologica, con caratterizzazioni profonde e dettagliate, come ci ha da sempre abituati King.

Anche il paese è un vero protagonista della storia e a dimostrazione abbiamo più di un capitolo interamente dedicati a lui e a come si svolge la vita tra le sue strade, i suoi orari e le sue attività.

La narrazione è molto scorrevole e accattivante, rimaniamo legati pagina dopo pagina presi dall’ansia, sappiamo che qualcosa è accaduto fin dall’inizio, ma cosa davvero sia accaduto lo scopriremo solo alla fine passando attraverso paura, terrore, shock. Un incubo che ci terrà svegli la notte e bloccati di giorno.

La storia non prende subito il via, anzi si sviluppa molto piano, riceviamo tantissimi indizi, mezze frasi, ma mai nulla di ben definito, come se vedessimo tutto attraverso una nebbia, e questo porta a incuriosirci sempre di più, e a spaventarci.

Come piano piano la casa prende il ruolo di personaggio principale, lasciandosi alle spalle quello di sfondo in cui capitano gli eventi.

Il ruolo di casa Marsten infatti diventa sempre più predominante, le descrizioni diventano più minuziose e più realistiche, concrete, come se stesse crescendo sotto ai nostri occhi.

Molto significativi i riferimenti al Dracula di Bram Stoker, libro che ha ispirato King, e che trasformano un semplice thriller psicologico in un romanzo horror.

Le notti di Salem è il secondo romanzo che abbia scritto King, e come per altri suoi romanzi nasce dallo sviluppo di alcuni racconti, in questo caso Jerusalem’s Loti Il bicchiere della staffa che possiamo trovare nella raccolta A volte ritornano.

Nella prima stesura del romanzo l’editore decise di tagliare molte parti ritenute troppo pesanti, ma fortunatamente, nelle edizioni successive, sono state rinserite.

Infatti è proprio il linguaggio crudo, e le descrizioni forti di alcune scene veramente macabre che trasformano una storia di sola fantasia in qualcosa che viene percepita come concreta e reale, terrorizzando così in profondità il lettore che non potrà mai dimenticare la lettura.

Micol Borzatta

Copia di proprietà

La figlia dello straniero, Joyce Carol Oates (Mondadori 2008) a cura di Micol Borzatta

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Stati Uniti dal 1936 al 1999

Rebecca Esther Schwart è la figlia del becchino di Milburn, un uomo che soffre di manie di persecuzione, che poi riversa sulla famiglia.

Il fratello maggiore di Rebecca si diverte a farle scherzi pesanti che la terrorizzano, ed è proprio il suo terrore che lo diverte, portandolo a farne sempre di più pesanti.

Come se tutto questo non bastasse, ogni Halloween la famiglia riceve la visita di teppisti che distruggono il cimitero, senza contare le offese razziste che sopportano tutto l’anno.

Nel 1941 la madre, Anna, entra in uno stato si shock insuperabile dopo che la nave su cui viaggiava la sorella e i figli, che proveniva dalla Germania, viene respinta, impedendo a lor di raggiungere i parenti.

Pochi anni dopo Herschele è costretto a trasferirsi in Canada a causa di atteggiamenti violenti dovuti alla sete di vendetta verso tutte le offese razziali ricevute.

Anche August è costretto a lasciare la famiglia a causa di un’esplosione di violenza del padre, mentre nel 1949 Jacob uccide Anna con un fucile e poi si spara a sua volta.

Rebecca viene così affidata a una sua ex maestra, ma appena compie sedici anni lascia gli studi e si trasferisce a vivere in albergo con altre ragazze dove conosce Niles Tignor che per ottenere un potere assoluto su di lei in scena un falso matrimonio.

Rebecca si trova così madre e sempre più spesso da sola, costretta ad accettare un posto in fabbrica per mantenere se stessa e Niley.

L’ultimo ritorno a casa di Tignor, però, cambia tutto. A causa di una ferita durante un’azione criminale inizia ad avere scatti d’ira, fino ad arrivare a tentare di uccidere Rebecca e Niley.

Approfittando di un momento in cui Tignor dorme ubriaco, Rebecca scappa con l’auto del marito e il figlio, facendo perdere le sue tracce.

Inizia così per loro una nuova vita con nuove identità, fermandosi in ogni luogo solo per un paio di giorni.

Un romanzo profondo che racconta la vita di una donna forte che sa cosa vuol dire lottare per sopravvivere e salvare la vita delle persone a lei care.

Tutta la storia è un lungo viaggio fisico per la protagonista, di crescita e maturazione, ma anche un viaggio interiore di scoperta per il lettore che si trova ad affrontare lo stesso viaggio.

Lo stile narrativo è semplice e alla portata di qualsiasi lettore, diventando così un romanzo formativo adatto anche alle scuole.

Micol Borzatta

Copia presa in biblioteca

I vendicatori, Stephen King (Sperling & Kupfer 1997) a cura di Micol Borzatta

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Poplar Street, Wentworth, Ohio, estate 1996

È un’estate torrida, molto calda e gli abitanti di Poplar Street sono tutti indaffarati in attività di svago, c’è chi suona la chitarra, chi annaffia il prato, chi prepara la brace del barbecue, e chi guardando l’orizzonte si accorge che sta arrivando un temporale.

Cary sta girando in bicicletta per consegnare il giornale e Poplar Street è la sua ultima tappa.

Cary è concentrato sul suo obiettivo, consegnare il giornale all’ultima casa della vita, quella dove vive un ex poliziotto uscito di senno, e non vede cosa sta succedendo: un camion si è fermato dal lato opposto della strada, davanti allo shop, un furgone sta venendo dalla parte opposta, un finestrino si apre, la canna di un fucile esce e il colpo si mischia al tuono in lontananza.

I colpi provengono dal furgone rosso con la parabola radar sul tetto, lo stesso furgone rosso che due anni prima ha sterminato la famiglia di Seth Garin a San Josè. Ora Seth ha otto anni e vive con la zia Audrey Wyler al 247 di Poplar Street.

Le vittime stavolta sono Cary Ripton, il ragazzo dei giornali, e Hannibal, il pastore tedesco dei gemelli Reed, che stavano nel giardino di casa, al 245 di Poplar Street, il cane è corso a recuperare il gironale che Cary ha lasciato cadere quando il colpo di doppietta lo colpì, attirando così l’attenzione di chi impugnava il fucile che sparò a lui invece che ai due bambini davanti allo shop.

Dopo aver sparato il furgone rosso sparisce girando l’angolo, ma pochi minuti dopo un furgone blu e uno giallo entrano dai due lati della via e si fermano.

Nel frattempo John Marinville prende il telefono per chiamare la polizia, ma subito dopo aver composto il numero sente la voce di un bambino scandire una filastrocca sconcia e poi più niente.

Il temporale si avvicina e il cielo diventa sempre più nero e la luce scompare.

Passano i minuti, COllie prova anche lui a telefonare ai suoi ex colleghi, ma quando fa il numero della polizia sente anche lui la voce del bambino con un’altra filastrocca sconcia e poi silenzio.

Intanto torna a casa Mary Jackson, ma appena entra nella via on la sua Lumina verde il furgone giallo si mette in moto e la sperona volontariamente distruggendole la macchina, e poi prosegue. A questo punto si mette in moto il furgone blu che, arrivato all’altezza di Mary, inizia a sparare per poi sparire anche lui dietro l’angolo.

Stavolta i morti sono Mary e David Carter.

Nel mentre il cielo è diventato nero e grossi goccioloni hanno iniziato a scendere e un lampo incendia l’unica casa disabitata della via.

I cittadini sono ancora sconvolti e perplessi quando entrano nella via altri due furgoni, uno nero e uno rosa, futuristici come i precedenti.

Solo in quel momento Ralph Carver, un bimbo di soli sei anni, riconosce nel furgone rosa il furgone Sognante, veicolo di Cassie Styles che, come gli altri, è protagonista della serie per ragazzi MotoKop 2200 e di cui i negozi sono pieni di modellini.

Cosa ci fanno però i protagonisti di un cartone animato a Poplar Street e perché stanno uccidendo a turno gli abitanti della via?

È un incubo o è tutto davvero reale?

Queste sono solo le primissime pagine di questo romanzo di King che fin dall’inizio crea un’atmosfera di mistero e surrealtà incredibile.

Infatti tolte le prime cinque-sei pagine in cui ci viene presentata la via descrivendo casa per casa, famiglia per famiglia, veniamo gettati nel clou dell’azione, dove avviene di tutto, ma in cui non riusciremo a capire cosa stia realmente accadendo.

Surreale e reale si accavallano e, come scopriremo dai vari ritagli di giornale che compaiono qua e là nella narrazione, non per la prima volta.

Il clima che viene creato è di terrore puro, terrore che non colpisce solo i personaggi congelandoli nelle loro azioni, ma congela anche il lettore che non riesce a smettere di leggere, dimenticandosi di tutto il mondo esterno, e tornando a respirare solo in quei momenti, veramente rari, di pausa tra un’azione e un’altra.

Il ritmo narrativo accompagna molto bene tutta la storia, essendo molto cadenzato e veloce, come se tutto andasse a velocità accelerata.

Molto ben trattato il tema dell’autismo e di come viene accolto un bambino autistico in una nuova famiglia e, specialmente, in una comunità che si ritiene aperta solo perché tra di loro vive una famiglia di colore. Infatti anche l’ipocrisia delle persone ha un ruolo molto importante in tutta la storia.

Nonostante si venga a sapere quasi subito cosa ci sia alla base di tutti gli eventi, ci viene spiegato dopo un centinaio di pagine, non rovina la voglia di continuare la lettura, anzi è un incentivo in più, perché ora che abbiamo tutte le carte in tavola e conosciamo tutti i giocatori, possiamo concentrarci sulla partita stessa, su come si sviluppa e come viene giocata, fino ad arrivare a scoprire il vincitore.

Una lettura piena di mistero che è stata scritta e pubblicata gemellata con il romanzo Desperation.

Micol Borzatta

Copia presa in biblioteca